
GLI AIUTI FISCALI A FAMIGLIE ED IMPRESE NEL “CURA ITALIA”: L’ENNESIMA OCCASIONE PERSA?
Il Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 c.d. “Cura Italia” contiene, tra le altre, una serie di iniziative che il Governo ha assunto, in materia di lavoro e fisco, allo scopo di sostenere famiglie ed imprese nel corso della crisi economica derivante dalla pandemia di coronavirus.
Abbiamo chiesto qualche commento al Dott. Daniele Criscio, commercialista e Partner of Counsel dello Studio AMP, molto critico riguardo le norme in questione.
“Non v’è dubbio che, nello stato di emergenza in cui il Paese si trova, le imprese ed i professionisti stiano vivendo un periodo di crisi profonda, dovuta da un lato alle chiusure obbligatorie e dall’altro alla generale riduzione dei flussi di cassa. Occorre quindi fronteggiare un generalizzato problema di scarsa liquidità circolante che, tuttavia, le norme del Decreto Cura Italia non sembrano in grado di risolvere.”
La crisi è senza precedenti e le misure contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 marzo 2020 sembrano destinate ad acuirne gli effetti, considerando che viene disposto un drastico ampliamento delle chiusure forzate, estese ora a tutte le attività industriali e commerciali non considerate essenziali. Ed anche il nuovo Decreto Legge del 24 marzo 2020 (ancora in fase di promulgazione alla data di pubblicazione di questo articolo) lascia immaginare una non facile soluzione della crisi, atteso che dovrebbe essere stata prevista la possibilità di prolungare le misure restrittive addirittura fino al prossimo 31 luglio.
“In uno scenario davvero apocalittico per l’economia nazionale”, continua Criscio, “imprese e lavoratori autonomi chiedono a gran voce l’aiuto del Governo, per poter sopravvivere a questa crisi profonda ed ancora lontana da una soluzione. La prima risposta giunta, di una manovra da 25 miliardi di aiuti, si è tradotta in una serie di provvedimenti che appaiono abbastanza complessi nella loro concreta attuazione e, in ogni caso, non idonei a garantire il ripristino in tempi rapidi di un accettabile cash flow, soprattutto per le attività più piccole.”
Sul fronte del sostegno ai lavoratori, è stata ad esempio prevista, dall’art. 22 del Decreto Cura Italia, una cassa integrazione in deroga per le sospensioni di lavoro dovute all’emergenza sanitaria, utilizzabile dalle aziende che abbiano anche un solo dipendente: intervento apprezzabilissimo che, tuttavia, nella versione definitiva del Decreto – e a differenza di quanto previsto nelle bozze inizialmente circolate – ha demandato la sua concreta attuazione a Regioni e Sindacati e ciò, evidentemente, allungherà i tempi, facendo arrivare gli importi ai lavoratori con inevitabile ritardo rispetto alle reali esigenze. “Così, non percependo immediatamente la necessaria liquidità”, osserva Criscio, “i lavoratori si ritroveranno a dover ulteriormente comprimere le proprie spese, riducendo ulteriormente la liquidità in circolazione, con effetti a cascata anche sulle stesse aziende.”
Ad ogni buon conto, l’INPS ha già precisato sul proprio sito web istituzionale che, per l’erogazione dell’integrazione salariale, verranno mantenute inalterate le procedure già previste per la “zona rossa”, prima dell’estensione nazionale della misura, prevista dal Decreto Cura Italia.
Le cose dovrebbero andare invece un pò meglio per i lavoratori non soggetti a sospensione dell’attività: l’art. 63 del Decreto ha infatti previsto per il mese di marzo 2020 un premio di € 100 netti, da rapportare al numero di giorni di lavoro effettivamente svolti nel mese, che non concorre alla formazione del reddito (e che, quindi, non verrà tassato). Tale premio, tuttavia, sarà erogato dalle aziende datrici di lavoro, quali sostituti d’imposta, che potranno avvalersi poi della compensazione: in tal modo, quindi, vengono sostenuti in modo decisamente più efficace i lavoratori in servizio (che avrebbero comunque percepito il loro stipendio), a svantaggio però dei datori di lavoro, che devono di fatto anticipare l’erogazione del sostegno da parte dello Stato.
Sul piano fiscale, gli interventi del Decreto riguardano sostanzialmente sospensioni dei versamenti e riconoscimenti di crediti d’imposta. Insomma, commenta Criscio, “a dire tutta la verità, nulla che rimanga stabilmente nelle tasche dei contribuenti o che possa essere dagli stessi prontamente monetizzato.”
Lo scorso 19 marzo l’Agenzia delle Entrate ha rilasciato sul proprio sito web istituzionale un vademecum relativo a tali misure: uno strumento utile che, tuttavia, non consente di cogliere in pieno alcuni aspetti problematici insiti nel Decreto.
Secondo il commercialista, “il problema principale risiede nelle modalità, incomprensibilmente complicate e generatrici di disparità di trattamenti, con cui sono attuate le sospensioni dei versamenti.”
Vediamo le principali.
L’art. 60 ha disposto una sospensione di carattere generale, che ha differito il versamento di tutti i tributi scaduti il 16 marzo, rinviandoli al 20 marzo, senza esclusioni o differenziazioni.
E’ stato poi disposto dall’art. 61 un congelamento delle scadenze dei mesi marzo ed aprile 2020, per le sole attività individuate come maggiormente colpite ed in generale per il settore turistico-alberghiero, con rinvio dei versamenti al 31 maggio e successiva possibilità di rateizzazione in 5 scadenze, ma solo per quanto attiene ad iva nonché a ritenute e contributi derivanti dalle retribuzioni del lavoro dipendente.
L’art. 62 ha esteso le misure a tutte le altre attività che abbiano fatturato inferiore ai 2 milioni di euro, per le quali è stato quindi disposto il medesimo rinvio delle scadenze di marzo 2020 al 31 maggio, poi rateizzabili in 5 rate, sempre con riguardo ad iva, ritenute e contributi lavorativi.
Per i lavoratori autonomi ed i professionisti con un reddito inferiore ad € 400.000 annui, il comma 7 dello stesso art. 62 ha sospeso fino al 31 marzo l’applicazione delle ritenute d’acconto sui compensi. Tale sospensione ha efficacia sul lato attivo, sicché le fatture emesse in questo periodo dagli autonomi potranno non contemplare la ritenuta, con l’effetto di consentire un incasso pieno della prestazione e, quindi, di far rimanere nelle tasche di tali soggetti maggiore liquidità. Resta tuttavia dubbio, perché non previsto dalla norma, cosa avverrà successivamente, quando gli stessi lavoratori autonomi e professionisti dovranno comunque versare (come?) le somme incassate, corrispondenti alle ritenute d’acconto non applicate.
Invece, osserva Criscio, “nulla è stato previsto per le attività non ritenute come maggiormente colpite dalla crisi, che abbiano un fatturato superiore ai 2 milioni di euro, le quali hanno quindi potuto beneficiare unicamente del differimento di 4 giorni dei versamenti, previsto dall’art. 61 del Decreto, e nient’altro.”
“In pratica, è accaduto che, ad esempio, un grossista di materie prime alimentari con un fatturato che superi i 2 milioni (fatto assolutamente normale, considerando i bassissimi margini di profitto in questo specifico settore merceologico preso ad esempio), che risulterebbe annoverabile tra le piccole imprese perché ha, sempre ad esempio, appena una decina di dipendenti, è stato di fatto assimilato dal Decreto alle entità imprenditoriali decisamente più grandi, come ad esempio i colossi industriali o digitali.”
“E non sarebbe neanche questo il problema più grave, perché l’elemento veramente assurdo, di questo criterio di accesso ai benefici, risiede nell’evidente circostanza che questi soggetti, di fatto piccoli ma che fatturano oltre 2 milioni di euro l’anno, sono stati considerati ricchi e, quindi, del tutto capaci di risolvere da soli gli eventuali problemi di liquidità. Considerazione, quest’ultima, ben lontana dalla realtà dell’imprenditoria media italiana.”
“Non va dimenticato”, conclude sul punto Criscio, “che il problema della liquidità non è per nulla diverso nelle aziende piccole, medie e grandi: ciò che cambia è solamente l’ordine di grandezza, motivo per cui appare comunque deprecabile questo trattamento senza sconti per i soggetti ritenuti più grandi.”
Venendo poi al capitolo dei crediti d’imposta, l’art. 64 riconosce a tutti i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, senza distinzioni, un credito d’imposta pari al 50% delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro, fino ad un massimo di 20.000 euro. Viene tuttavia posto il tetto massimo nazionale di 50 milioni di euro, demandando per l’attuazione in concreto di tale misura a provvedimenti che dovranno essere emanati dal Ministero dello Sviluppo Economico d’intesa con quello dell’Economia.
L’art. 65 prevede una misura destinata ai piccoli esercizi commerciali ed alle attività artigianali che vengono svolte in locali non di proprietà dell’imprenditore: il credito d’imposta riconosciuto è in questo caso pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020, per immobili rientranti nella categoria catastale C/1 [l’argomento è oggetto di trattazione anche nell’interessante articolo dell’Avv. Gabriele Maxia, pubblicato sul blog di questo Studio, Locazione commerciale ai tempi del coronavirus: come tutelare i piccoli imprenditori?].
In tema esattoriale, l’art. 68 ha previsto la sospensione di tutti i versamenti dovuti tra l’8 marzo ed il 31 maggio 2020 per cartelle di riscossione ed avvisi bonari, con l’importante precisazione che non è tuttavia possibile richiedere la restituzione dei versamenti eventualmente già effettuati alla data di entrata in vigore del Decreto. I versamenti non effettuati dovranno essere comunque eseguiti, in unica soluzione, entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione.
Sono stati infine posticipati al 31 maggio anche i termini per il pagamento della rata, già scaduta lo scorso 28 febbraio, della “rottamazione ter”, nonché del “saldo e stralcio” in scadenza il 31 marzo.
E se un contribuente virtuoso preferisse non avvalersi delle agevolazioni previste dal Decreto?
In un periodo nel quale le esigenze di cassa sono più che mai elevate, per uno Stato impegnato nella lotta all’epidemia, l’art. 71 ha pensato ad un vero e proprio encomio, in termini di menzione di merito, per quei contribuenti che, “non avvalendosi di una o più tra le sospensioni di versamenti previste […], effettuino alcuno dei versamenti sospesi e ne diano comunicazione al Ministero dell’economia”.
Dunque, commenta critico Criscio, “mentre da un lato si rende complesso e si limita fortemente l’effettivo accesso ai benefici, dall’altro lato si incentiva addirittura a non avvalersi degli stessi.”
“Questa sciagurata vicenda di contrasto alla terribile epidemia, che vede tutti noi Italiani privati di parte delle nostre libertà fondamentali e che sta davvero massacrando la nostra economia, poteva essere forse l’occasione giusta, per il Legislatore fiscale, per fare quel salto di qualità che aspettiamo ormai da troppo tempo: iniziare finalmente a legiferare in maniera semplice, chiara ed equanime, a vantaggio effettivo del contribuente. Al contrario – e come al solito – è stato reiterato il solito caos di rinvii e distinguo illogici, che rende estremamente complicato comprendere cosa e quanto versare, quando e soprattutto da parte di chi. Senza dimenticare l’assurdo disincentivo all’uso dei benefici.”
La confusione generata dal Decreto è stato un problema reale per tutti gli operatori economici.
Ad esempio, evidenzia Criscio, “pur beneficiando della sospensione di tributi e contributi per i mesi di marzo ed aprile 2020, lo scorso 20 marzo tutte le imprese, senza distinzione, si sono trovate comunque a dover versare le ritenute per i compensi erogati a professionisti, nonché le concessioni governative sui libri sociali: tributi che sono stati semplicemente dimenticati da chi ha elaborato il Decreto, rendendo quindi vano l’intento di escludere completamente, almeno per i soggetti ritenuti maggiormente colpiti dalla crisi, l’obbligo di versamenti all’Erario in questo momento drammatico.”
“E’ intuitivo che sarebbe bastato davvero poco a realizzare questo intento: dato lo stato di crisi generale, sono congelati tutti i tributi e contributi per i mesi di marzo ed aprile, senza distinzioni. Ma la realtà è stata ben diversa e, così, noi commercialisti abbiamo dovuto compiere, in questi difficili giorni di distanziamento sociale e capacità lavorative ridotte, delle vere e proprie maratone, per comprendere la situazione di ogni singolo Cliente ed assisterlo nel corretto adempimento dei suoi doveri di contribuente.”
La speranza, comunque, è sempre l’ultima a morire: alla fine, un ravvedimento operoso ci salverà tutti!